Spedita ai maggiori quotidiani, in merito all’editoriale del 23 luglio su L’Espresso
Caro Scalfari,
ma tu non eri ateo?
Non importa. Ciò che importa è che quello che hai scritto nell’editoriale del 23 su L’Espresso, degli atei appunto, è errato.
Così apertamente, palesemente errato che venendo da un intellettuale della tua levatura e non da un maldestro apologeta, sorprende.
Basterebbe rilevare che la nostra specie non deriva dagli scimpanzé.
Ma ha fatto agli atei tutti un disservizio troppo grande per passare il resto in cavalleria.
La questione non è banale: i non credenti – sinonimo – sono oggi, ancora, una minoranza stigmatizzata, esattamente nel senso da lei stesso condiviso. I modi e i luoghi poi variano – e passano dal disprezzo esplicito a quello passivo-aggressivo, dai rapporti quotidiani al pulpito, anche mediatico, fino alle leggi e ai favori di uno Stato spesso laico a singhiozzo – solo per parlare dell’Occidente. Peggio va altrove.
E per cosa? Non credere “in nessuna divinità, nessun creatore, nessuna potenza spirituale” in sé non implica che questo, e nulla è implicito riguardo a come di fatto atei e agnostici vivono senza dio.
Si tratta dunque di un pregiudizio, e di una generalizzazione indebita,
quello di crederli, in quanto atei, “poco tolleranti” e “all’attacco contro chi crede”, proclamando “la loro verità assoluta” in modi “provocatori, rissosi e calunniosi”, preda “inconsapevole” della “prepotenza del loro Io” che “reclama odio” e “non pensa e non si vede operare e non si giudica”.
Di più: è falso.
Le parlo come a qualcuno che non è stato ateo e non li conosce affatto: atei di quel tipo esistono, certamente, ma sono una minoranza nella minoranza. Comportamenti di quel tipo esistono, certamente, ma i credenti non ne sono affatto esenti e non basta la “speranzosa ipotesi di un aldilà” a garantire per loro – in passato, lo ricordato lei stesso, come oggi. Se non altro, è stata proprio questa idea a sconvolgere “la nostra vita, i nostri pensieri, i nostri bisogni, i nostri desideri” prima della “carezza della morte”.
Insomma, caro Scalfari, non basta credere come non basta non credere, per essere brava gente oppure no.
Il resto di quegli atei e agnostici – che per sua informazione risultano, dati alla mano, essere circa il 10% della popolazione soltanto in Italia (Uaar-Doxa, 2014) – ha in realtà una visione della vita tutt’altro che “nichilista”, tutt’altro che vuota.
Certamente si trovano a dover tenere un atteggiamento anche “rigorosamente combattivo”, date le circostanze, ma lo fanno quando un diritto è violato da un privilegio (o da una violenza), quando una credenza è sostenuta senza verifica e insegnata senza rispetto, quando incassano insulti senza ragione – pur se espressi “con elegante pacatezza”, sì – non certo a priori o per dispetto.
E lo fanno per via intellettuale, non dichiarando verità assolute o guerre sante.
Una rapida ricerca in Rete le confermerà che le maggiori associazioni di non credenti al mondo hanno un’impostazione laico-umanista, sia nei princìpi che nei metodi, ivi inclusa l’Uaar in Italia. Le assicuro, consapevolmente.
Caro Scalfari,
stavolta ha voluto difendere un modo di essere credenti senza dèi né rivelazioni, una fede disimpegnata, ufficiosa e possibilista, che immagina un “Essere” e un esistere dopo la morte “dove la vita proseguirebbe, sia pure in forme diverse”.
Un’opinione che ha ragione di esprimere, ma non di sostenere come forma di non credenza, né come automatica virtus nel mezzo fra la “divinità trascendente delle religioni” e il “nulla nichilista”.
Soprattutto, non al costo di definire milioni di persone come intolleranti e prepotenti, dogmatici e incoscienti senza conoscere i valori in cui credono oltre a ciò in cui non credono.
La sua autorevolezza e il suo pubblico la mettono in posizione di vantaggio: da ateo umanista la invito con decisione a non condividere un pregiudizio infondato e oltraggioso, e a cercare invece punti di contatto e dialogo su razionalità e laicità, etica e responsabilità, con il mondo dei non credenti. Siamo certamente animali, ma in tanti, vedrà, sapremo sorprenderla.