Serie: l’uomo, l’etica, la società. 3 punti di vista atei.
La nostra natura ci consente una convivenza più felice? Risposta all’ateo pessimista, e a quello cinico.
- L’uomo, l’etica, la società. La nostra natura ci consente una convivenza più felice?
- All’ateo che pensa che le cose ‘stanno così’ e la volontà sia niente.
- All’ateo che pensa che l’uomo sia lupo all’uomo. Lui incluso.
- Le potenzialità reali dell’essere umano. E dei non credenti.
[2di3]
[Riporto qui un mio post sul forum Uaar, che è pubblico. L’utente ha scritto lì, non qui, quindi mi pare giusto non sia citato. I suoi argomenti, tuttavia, sono fra le tipiche obiezioni ad un approccio costruttivamente etico alla convivenza umana, e in quanto tali mi permetto di riportarle, con la mia risposta. L’intento infatti non è di parlare dell’utente, ma di correggere alcune opinioni comuni ad atei con un’altra visione del mondo. Eventuali riferimenti personali sono stati qui omessi]
Dunque [nickname dell’utente],
nella tua analisi rilevo quelli che mi paiono errori.
In ogni caso, mentre da questa tua visione del mondo ricavi, mi pare, un certo sostanziale disinteresse per l’impegno sociale in senso etico, e preferisci ‘volartene’ su altri pianeti, io mi gioco lo stesso la carta del miglioramento. Della fatica qui e ora di trovare un accordo su relazioni più funzionali.
Perché forse colonizzeremo altri pianeti, ma nel lungo frattempo dobbiamo cavarcela qui.
Semplicemente trovo troppo grave la situazione di oggi e troppo numerosi gli errori che, prima di arrendermi a questa situazione per altri motivi anche magari validi – l’impronta evoluzionistica, quella genetica, quella ormonale, e quella dell’impossibile controllo su tutte le imprevedibili forze in azione – proverò ad agire su qualsiasi fattore sia minimamente possibile influire.
Nel mio piccolo, dal mio piccolo, mi giocherò la *minima* possibilità di stare meglio, e convivere meglio.
L’opzione ‘è così che ci vuoi fare’, nella misura in cui mi pare scorretta, non la contemplo.
Ora, quali sono gli errori che vedo nello scenario che descrivi?
> Io non riesco a capire il bisogno, il desiderio di ridurre la complessità fino a una visione bipolare , o meglio lo capisco umanamente ma è fuorviante e porta a grossolani errori di valutazione.
Intendi giusto/sbagliato, buono/cattivo, vantaggioso/svantaggioso, cose così?
Quando si parla in generale (mi?) è comodo usare termini del genere.
E possono sembrare troppo netti, certo, ma nelle mie intenzioni non sono una divisione bianco/nero, e infatti in genere il mio discorso è fatto di ‘spesso’, ‘meglio di’, ‘relativamente a’, ‘considerando che’, ecc. È comodo per capirsi, e per esprimere un parere, ma non le considero ‘verità’ o ‘assoluti’.
E non lo trovo neanche strano,
anzi mi pare… ‘naturale’: questi giudizi decisamente aiutano a muoversi nella vita, ad accostarsi a ciò che piace e allontanare ciò che non, a decidere verso cosa orientare la ricerca e la tecnica, cosa evitare di calpestare.
Tu stesso ad esempio hai parlato di vantaggio e svantaggio.
Giudizi di valore non si può non darne, a meno di non farsi andar bene tutto, di accettare indifferentemente ciò che ci fa bene e male, no?
L’importante è che il giudizio sia obiettivo, non escluda varibili importanti, e resti flessibile.
Proprio per giudicare meglio la realtà nel suo complesso e relativamente a noi, non per astrarla in pitture meta-fisiche.
> Fai distinzione fra vantaggio e giustizia, io no,
Beh,
c’è una distinzione di uso e significato evidente, mi pare.
Se una cosa è ‘vantaggiosa’ finisce per essere (più) giusta, se una cosa è ‘giusta’ non è detto sia anche la più vantaggiosa.
> per il ladro può tranquillamente essere giusto rubare e per mille motivi
Esatto.
> Rubare ai ricchi per dare ai poveri si traduce in vantaggio per questi ultimi e in svantaggio per i ricchi.
Certo,
ed è anche più equo, più ‘giusto’.
Dal punto di vista di chi ritiene che gli uomini meritino gli stessi diritti, non certo da quello di chi – ad esempio – si ritiene superiore proprio in quanto ricco, o di ‘sangue reale’, insomma diverso e più meritevole.
Punti di vista arbitrari, ma ciascuna parte vorrebbe che il suo influisse sull’altra. Questo scontro di valori, di riferimenti, può a volte essere così grave (come in questo caso) che è necessario affrontarlo, e prendersi la responsabilità delle conseguenze.
O anche no, ma allora l’altra parte avrebbe via libera e gioco ben più facile.
> Del resto rubare ai ricchi significa anche suscitare la reazione di repressione che porterà svantaggio per alcuni e ancora dopo genererà le condizioni per una rivolta contro il potere che causerà sofferenza, morti, distruzioni e un nuovo equilibrio di poteri fino a che le interazioni di caso e volontà porteranno altri cambiamenti con vantaggi e svantaggi per altri soggetti in una imprevedibile ridda distributiva di premi e penalità.
Slippery slope? [Fallacia del Pendio scivoloso]
Forse sì, forse non si riuscirebbe ad evitare la repressione (ma necessariamente?), forse ciò porterà a una rivolta distruttiva (ma necessariamente?), forse questo a un nuovo dis-equilibrio di poteri (ma necessariamente?), e forse il caso renderà il tutto imprevedibile (ma vano?) e precario (ma effimero?).
Penso di no, non necessariamente, non effimero, non vano.
Dopotutto, ne abbiamo fatta di strada dalla preistoria: i palazzi reggono nel tempo, e non è tutta e solo una guerra.
Come le cose materiali possono essere costruite per reggere, anche le cose psicologiche.
> Lasciami dire che la tua visione è impregnata di morale cristiana
Ops!
No. La morale cristiana comprende cose che la mia visione non ha – l’idea del sacrificio di sé, il porgi l’altra guancia, il peccato originale, l’inferno, il dovere innanzitutto verso un dio, …
E ciò che – di ‘buono’ e ‘giusto’ – si trova anche in essa non è certo esclusiva del cristianesimo. È questo che le ha fatte proprie da come l’uomo è, ed è un errore invertire i fattori: l’etica è precendete il cristianesimo ed esiste al di fuori.
Quando anche il cristianesimo attinge alla natura e alle potenzialità umane con obiettività, c’è dunque somiglianza, sì, ma la dipendenza è sua da esse, non viceversa.
> mentre la mia è più improntata alla morale pagana greco-romana che spiega molto meglio il mondo ( a mio modesto parere e gusto estetico)
Ecco,
stai esprimendo un giudizio di valore.
La tua visione è per te più giusta della mia, migliore della mia.
Il nodo dunque non è nel farlo o meno, che lo facciamo entrambi, ma nel fatto successivo per cui io vorrei che la mia anche gli altri la vedessero migliore o almeno preferibile, tu invece – se ho capito bene – ti fermeresti a te stesso. Giusto?
> non volendolo mai risolvere in tensioni opposte e antitetiche.
Posso dire che questo ‘mai’ indica una posizione estrema,
bipolare, dualistica?
Al di là di questo,
la mia opinione è che a volte decidere cosa è giusto/vantaggioso/concedibile e cosa no, si deve.
Le leggi, ad esempio, sono questo.
La scelta di guidare l’auto in sicurezza o meno, di picchiare la moglie o meno, pure.
Non-scegliere, su queste cose, è… svantaggioso.
Per sé, gli altri, in società.
Quindi il nodo anche qui non è nel farlo o meno, che lo facciamo entrambi e anzi tutti, ma nel come, nella qualità del giudizio.
Che appunto non dev’essere in bianco/nero ma obiettivo e informato, non un assoluto ma flessibile, non imposto ma condiviso.
Però ci deve essere, no?
Eppoi dipende dai riferimenti. L’obiettività vale poco se prima di essa ci sono valori in base a cui ‘obiettivamente’ si può rubare, ferire, sfruttare.
Ma l’importanza di non farlo, di avere una prospettiva più etica, diventa chiarissima considerando che anche il più cattivo dei cattivi *non* vuole essere derubato, ferito o sfruttato. Allora sì, gli sembra *giusto* non si faccia.
Ecco.
> Persino gli dei per quanto potenti dovevano sottostare all’alea delle parche che capricciosamente tessono e filano e tagliano il filo del destino di ciascuno.
Ma non è che non agivano.
Non è che non giudicavano.
Non è che restavano fermi o vagavano come galleggiando nell’oceano.
Non è che non ci provavano, a costruire.
E sì, guerreggiavano e sostenevano gi umoni da una parte e dall’altra, i quali guerreggiavano fra loro.
Ma ci hai mai pensato? Perché facevano la guerra? Una costante era – ed è – ciò che ciascuna parte riteneva *giusto*. Una reagiva per aver subito o rischiare di subire una *ingiustizia*, un’altra per suo proprio *vantaggio*.
Il bene contro il male è un archetipo, ed ha due facce.
Poi bisogna vedere cosa e come,
ma intanto è un fatto che il ‘giusto’, il ‘buono’, il ‘vantaggioso’ e il ‘preferibile’ ci accompagnano e ispirano da sempre.
> Qui non si tratta di non agire, di non esplicare la volontà (che già sappiamo essere una illusione) ma di svestirla di certo misticismo positivista che non ha più ragion d’essere e accettare la precarietà e l’arbitrarietà della condizione umana.
Parli di misticismo positivista, ma fai del misticismo negativista?
A mio parere, qui non si tratta di non agire, di non esplicare la volontà, né di credere che la condizione umana non sia precaia e arbitraria. Ma di provarci nonostante tutto.
Possiamo essere d’accordo?
> Tu parli d costruire ma costruire che cosa? Una società unica che condivida una serie di valori minimi, questa cosa secondo me non accadrà mai, ci sono profondissime differenza fra le varie culture umane e il conflitto è parte organica della struttura psichica umana, finché saremo umani ci faremo guerre.
Dal mio punto di vista,
quel ‘mai’ è una posizione estrema che, non sapendo leggere il futuro, non c’è ragione di fare.
Nella nostra struttura psichica abbiamo conflitto e pace, egoismo ed empatia, dominio e inclusione…
Ed è possibile, perché nulla lo impedisce,
sviluppare le seconde e minimizzare le prime.
Forse, forse, ci faremo sempre la guerra (altro giudizio di valore polarizzato, a proposito di dualismi), ma nulla ci vieta di provare a non farcela, di insegnare a non farcela, di invogliare a non farcela.
Forse, forse non ci riusciremo, ma il nostro sforzo potrebbe ridurre il numero dei guerrafondai, e anche solo evitarne qualcuna sarebbe un grandissimo successo. Non ne vale la pena?
> La tua è una visione centrata su concetti di bene e giustizia occidentali che non sono affatto maggioritari e quindi che facciamo? Colonialismo etico?
Bof,
personalmente mi preoccupo del mio territorio e trovo che ci sia già tanto da fare.
Allargare il discorso si può e si deve, ma è un altro affare.
Ma, sì, anche all’interno di un Paese si dovrebbe fare ‘colonialismo etico’.
Già si fa!
Lo Stato ha una costituzione in cui si danno tutta una serie di *giudizi di valore*.
In base ad essi, tutta una serie di leggi obbligano e concedono.
Colonizzazione? Sì.
Ma, di nuovo: il nodo anche qui non è nel farlo o meno, che già lo facciamo ed è normale e doveroso farlo, ma nel come, nella qualità del giudizio.
Nella qualità dei princìpi di riferimento,
nella qualità delle leggi.
Arbitrarissime, ma non è che non ci sono. Non è che possiamo farne a meno.
E non è che possiamo fare finta che questa non sia una scelta *etica*.
E che qualcuno ne resterà scontento.
Serie: l’uomo, l’etica, la società. 3 punti di vista atei.
La nostra natura ci consente una convivenza più felice? Risposta all’ateo pessimista, e a quello cinico.
- L’uomo, l’etica, la società. La nostra natura ci consente una convivenza più felice?
- All’ateo che pensa che le cose ‘stanno così’ e la volontà sia niente.
- All’ateo che pensa che l’uomo sia lupo all’uomo. Lui incluso.
- Le potenzialità reali dell’essere umano. E dei non credenti.