“L’amore di Dio per l’uomo – centro e fondamento della religione – è la prova più chiara, più irrefutabile che l’uomo nella religione contempla sé stesso come un oggetto divino, come un divino scopo, e che i suoi rapporti con Dio non sono che rapporti con se stesso, con il suo proprio essere.” (Ludwig Feuerbach)
Già. Poi, se mi chiedo perché mai dovremmo desiderare di illuderci su questo, di inventarci di essere amati, perché dovrebbe bastarci da persone pur sane e intelligenti, mi rispondo che diventa possibile solo quando il nostro bisogno d’amore è stato così tradito nelle relazioni reali, da non averci lasciato altra scelta.
L’infanzia è il momento perfetto.
Nel PMUA dedico un capitolo a questa idea (Che bisogno c’è di credere?), e scrivo:
“Se poi la ricerca primaria d’amore e rispetto in famiglia è fallita, come non sperare che oltre le nuvole esista quel genitore ideale di cui abbiamo follemente – umanamente – bisogno? Il tradimento delle necessità infantili non ne spegne il desiderio, lo devia all’infinito, nell’idealizzazione, nel trascendentale: non-luoghi dove possiamo finalmente essere amati come siamo da un genitore e una guida sicura. E totalmente contraccambiare”.