Il primo link è un podcast di Radio24, Dati, fatti e numeri sull’immigrazione.
“La chiamano emergenza, la chiamano invasione. L’immigrazione è un fenomeno strutturale che va gestito bene. Cerchiamo di dissipare la nebbia che si è creata in questi giorni in tema immigrazione e lo facciamo affrontando l’argomento dal punto giurisdizionale e numerico. Quanti migranti sono arrivati nel 2017? Si tratta veramente di invasione? (…)”
Pieno di dati reali, una bella analisi, che però non esaurisce la questione né fa proposte. L’altro è un articolo su un blog del Fatto Quotidiano – Salvare i migranti in mare, una questione di giustizia o di buonismo? – in cui l’autore fa notare come – pur nell’impeto emotivo umanitario – si evitino domande pur essenziali:
“Il dibattito sull’immigrazione sembra essere monopolizzato da commentatori e supporter sempre più specializzati in distrazioni di massa. Il tema su cui si discute con più accanimento è il valore da dare alla salvezza delle vite umane nel Mediterraneo. L’argomento è sicuramente rilevante, anche tenendo conto delle dimenticanze verso cui è spinta l’opinione pubblica dai media nei confronti di conflitti, guerre e carestie che riguardano popoli che abitano regioni periferiche del mondo, o delle condizioni inumane in cui sono costretti a vivere i profughi siriani nei campi di Smirne o Nezip in Turchia finanziati con il contributo “umanitario” della Comunità europea.
Il tema del salvataggio nel Mediterraneo tuttavia, per quanto importante, non dovrebbe esimere politici e cittadini da porsi alcune domande rispetto a cosa accade prima e dopo il momento del salvataggio. (…)
Sarebbe moralmente giusto chiedersi quale sia il costo in termini di vite umane, violenze e sopraffazioni che si registra durante il cammino nel deserto.
(…) cosa accade ai migranti una volta salvati e approdati sul suolo italiano. Si può dire siano salvi? Che siano messi in condizione di vivere un’esistenza migliore di quella che hanno sperimentato nei paesi di origine?”
Ecco, sì. Il discorso non inizia e non finisce su un gommone.
E se di molti sono disposto a non mettere in dubbio uno spirito umanitario (mentre di altri sì: il ‘Regno dei Cieli’ laico è vicino, e oltre a pulire spolverare la coscienza porta voti e porta soldi, un mare nostrum di soldi), mi chiedo pure quanta ingenuità ci sia.
La maggioranza di chi arriva non è denutrita. La maggioranza non ‘scappa dalla guerra’, la maggioranza non troverà il bengodi sognato immaginato. La maggioranza però parte dalla Libia, e quello un inferno lo è. E paga, per partire. Molto. Le donne sono pochissime. Le ragazze soltanto poche. Lì vengono violentate (anche per mesi) prima di partire, in Italia fanno le puttane per pagare un debito fissato inventato dai loro auguzzini per decine di migliaia d’euro.
Arrivano attirate dall’idea di una vita decente. In Italia farò la parrucchiera o la badante. Anche la narrativa locale quanto a cazzate non si fa mancare nulla.
L’accoglienza dunque non è che risolve quel problema.
Ma sono partiti, sono stati intercettati in mare, sono qui: e ora? Dovremmo accoglierli liberamente? D’istinto direi di sì, se fossimo la germania degli anni settanta o gli usa d’inizio novecento: paese in crescita, opportunità per tutti.
D’istinto oggi direi di no, non con questa italia che cade a pezzi di suo, non con questa italia lasciata sola in europa a gestire il fenomeno. E a gestirlo all’italiana: le mani sui fondi, grande disorganizzazione, poca trasparenza, poca informazione, futuro incerto.
Incerto per tutti, anche per gli italiani – e gli stranieri residenti e tasse paganti – le cui condizioni non miglioreranno certo.
Quanto sia veramente grave la situazione, quanto inciderà sulle nostre vite (mi metto fra la gente comune, diversa e distinta dall’italiano già ben-benestante che non sarà toccato dal fenomeno e che può parlare facile di accoglienza col culo degli altri), non lo so, devo approfondire.
E non è neanche giusto reagire d’istinto, né farsi parlare alla pancia, certo.
Fatto sta che il fenomeno esiste, è gestito da cani, una parte di chi arriva si dedicherà al crimine in varie forme e tasse non ne pagherà, poteva benissimo non salire su quel gommone.
In italia ci sono problemi strutturali: mi chiedo perché ci dedichiamo a questa *parte* di persone pensando di essere buoni e tanto ‘in Dudu’.
Si dirà: distinguere tra chi merita accoglienza per senso di umanità, e chi no, non si può. Forse è vero, ma certo non ci sforziamo di farlo. Il meccanismo di irradiazione sul territorio mi pare rasenti il pessimo, non siamo in grado, e pagheremo le conseguenze. Anzi le pagherà l’italiano comune e l’ex immigrato già integrato, non certo il politico tutt’accoglienza che un futuro sicuro tanto ce l’ha. Quanto gravi siano, ripeto, non sono in grado di giudicare, ma mi pare un problema aggiuntivo di cui non abbiamo bisogno, innanzitutto in termini di denaro: il fenomeno sarà pure limitato a ‘solo 100mila e meno dell’anno scorso’, ma costa. Costa, ed è un altro prelievo fra i tanti, l’ennesimo.
Il povero aiuti chi è più povero, ma non gli si faccia predica di razzismo e ipocrisia se non vuole vendere tutto e pure porgere l’altra guancia se a (dover) dare è solo lui e il ‘più povero’ è spesso un uomo di paglia.
Se si volesse davvero gestire in modo umano il fenomeno, senza per questo imbarcare chiunque anche a costo di perderci, bisognerebbe fare altro.
A cominciare da domande scomode come quelle dell’articolo, ma anche altre, sul prima il durante e il dopo. Prima di importare indiscriminatamente, per gli stessi motivi per cui non esportiamo la nostra democrazia tout-court. Non andiamo a prevenire il problema perché non sarebbe giusto, sono affari loro. Poi però quando la bomba scoppia e si tratta di pagarne le conseguenze, abbiamo l’obbligo di accogliere quelli che ne scappano? Senza alcuna garanzia? C’è una crisi umanitaria, ma inizia lì, in quei paesi, e se si deve reagire per umanità – cioè per etica, diciamolo – non ci si può limitare a soccorrere il gommone. La crisi così non finisce, anzi.
Nel frattempo, accogliamo tutti e di tutto. Perché noi abbiamo il senso della dudu non possiamo fare altro, il resto d’europa può e nicchia, stronzo, ma anche legittimamente protettivo.
Una via di mezzo no? Le domande giuste, progetti più funzionali e a lungo termine a vantaggio di tutti no?
E io, che non voglio cedere al richiamo della pancia né in termini di ‘poverini siate tutti i benvenuti’ né in quello di ‘ruspe ai confini marittimi’, resto a guardare, consapevole che questo non è il modo, che qualcun (altro) ci sta guadagnando (e lo lasciamo fare), che il razzismo (e crimine, e disagio) crescerà, che staremo tutti più peggio che meglio, perché manca la volontà se non la coscienza di fare le cose bene. Forse il fenomeno immigrazione è davvero poca cosa rispetto al mediatico ‘mammaliturchiafricani!’ ma non è nemmeno rose e fiori (o buoni e cattivi) e io mi sono rotto di veder mettere un’altra toppa a un sistema che non va.
Mah. Stamattina va così.
Quasi quasi emigro. Africa?