Ciliegina sulla torta di una campagna social ben riuscita è l’intervista di Micromega al responsabile campagne dell’Uaar.
Una buona intervista.
Per me manca sempre un pezzo all’intero discorso, appena accennato là e assente ad esempio nella scelta delle 4 opzioni semifinaliste (qui e qui) della campagna social sulle alternative al crocifisso a scuola.
Quella terribilissima questione dei valori.
Uno Stato (benché) laico non può mancare di valori. La sua equiditanza da religioni e ideologie non implica che non abbia, e non debba avere, alcuni suoi princìpi a direzione della società e del suo operato in essa.
La laicità, in senso stretto, che è quello originale, non implica nulla da questo punto di vista, non è “una ricetta per arginare gli integralismi, prevenire prevaricazioni e fissare buone regole di convivenza”, un po’ come l’ateismo non implica alcuna informazione su come la persona veda la vita e rapporti umani.
È un muro lasciato bianco, cioè libero, ma vuoto.
Oppure un muro dove finiscono forse non la fede, ma simboli ancora troppo poco rappresentativi. Che vuol dire ‘la scuola è aperta a tutti’, se non si parla anche di come è fatta? Che vuol dire la bandiera, se l’Italia va come va e se diventa semplice nazionalismo? L’artista, lo scienziato, certo, ma com’erano come persone, e perché?
In senso ampio invece, cioè quello inclusivo di valori, allora costruisce. Allora *forma*, ad esempio a scuola, i futuri cittadini,
La laicità non è ricetta, è ingrediente.
Certamente necessario ma non l’unico, anzi conseguenza logica di altri. La laicità esiste se deriva da quei valori, e garantisce quei valori, e (ma) sono questi il motore, l’essenza e l’essenziale, la torta tutta intera.
È anche per questo che “l’opzione multiculturalista della spartizione dello spazio istituzionale” non funziona: perché non tutte le diverse culture sono – completamente o in parte – compatibili con i princìpi più basilari della convivenza e della crescita umana. Cinzia Sciuto lo spiega bene nel suo libro “Non c’è fede che tenga. Manifesto laico contro il multiculturalismo” (Feltrinelli, 2018).
Basta forse la libertà? No.
Non solo perché le nostre libere azioni le decidiamo in base ad altro, e cosa questo altro è fa la differenza, ma perché in condizione di convivenza non si può essere completamente liberi, e non ha senso pretenderlo, il limite trovandosi nel mezzo fra le reciproche libertà di cittadini con uguale diritto.
Quale diritto? Quali valori? In questo senso fra i commenti avevo proposto la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, eventualmente accanto ai primi tre articoli della nostra Costituzione.
Dipende infatti, ovviamente, da quale diritto si abbia tutti, cioè da quali valori – arbitrariamente scelti in ogni caso – siano il punto di partenza condiviso. Una religione, una ideologia ne propongono pure, ma difettano per reale universalità (checché se ne pensi), partono da pregiudizi e credenze di fede – non verificabili e spesso anzi contrarie all’evidenza – e limitano non solo arbitrariamente ma in eccesso la libertà e il benessere di interi gruppi di persone, compiacendone altri in special modo.
Un approccio laico non ha lo scopo di soddisfare dèi o preconcetti, il suo unico dovere è verso le persone (e la natura) e il suo unico riferimento sono le persone (e la natura). Prescinde dunque dalla fede – sia essa religiosa o politica – e tenta una selezione di valori a partire dall’osservazione delle conseguenze, per applicarli a tutti senza distinzione, con l’intenzione realmente etica di offrire loro le medesime, e massime, opportunità.
La differenza è sostanziale.
La Dichiarazione ne è un ottimo esempio. Dalla DUDU:
Preambolo
Considerato che il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo (…) Considerato che è indispensabile che i diritti umani siano protetti da norme giuridiche, se si vuole evitare che l’uomo sia costretto a ricorrere, come ultima istanza, alla ribellione contro la tirannia e l’oppressione (…)
Considerato che una concezione comune di questi diritti e di questa libertà è della massima importanza per la piena realizzazione di questi impegni;
L’ASSEMBLEA GENERALE
proclama la presente dichiarazione universale dei diritti umani come ideale comune da raggiungersi da tutti i popoli e da tutte le Nazioni, al fine che ogni individuo ed ogni organo della società, avendo costantemente presente questa Dichiarazione, si sforzi di promuovere, con l’insegnamento e l’educazione, il rispetto di questi diritti e di queste libertà e di garantirne, mediante misure progressive di carattere nazionale e internazionale, l’universale ed effettivo riconoscimento e rispetto (…)
Articolo 1
Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.
Articolo 2
Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione.
Articolo 18
Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione (…)
Articolo 19
Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione (…)
Articolo 22
Ogni individuo, in quanto membro della società, ha diritto (…) alla realizzazione (…) dei diritti economici, sociali e culturali indispensabili alla sua dignità ed al libero sviluppo della sua personalità (…)
Articolo 26
L’istruzione deve essere indirizzata al pieno sviluppo della personalità umana ed al rafforzamento del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali (…)
Articolo 29
Nell’esercizio dei suoi diritti e delle sue libertà, ognuno deve essere sottoposto soltanto a quelle limitazioni che sono stabilite dalla legge per assicurare il riconoscimento e il rispetto dei diritti e delle libertà degli altri (…)
Proprio i valori di libertà e uguaglianza e pace, presi insieme e non da soli, pongono una solida base per quel “rispetto reciproco” e quella “crescita di civiltà” che vorremmo fossero più presenti, e vediamo mancare proprio in occasione di privilegi e proposte unilaterali come quelle di certa religione, di certa politica. E poi quelli di benessere, cultura, pensiero critico e scientifico, anche questi aiutano la società, cioè le persone, a crescere e migliorarsi e realizzarsi a piacere, senza stagnare in facili letture faziose della realtà, inverificate e inverificabili ma alacremente sostenute e imposte agli altri (tanto più mancano quelle premesse).
Sono queste premesse, a mio avviso, che meglio frenano certe credenze e certe intenzioni, perché le dissolvono alla radice. E, nel farlo, allevano un’altra sensibilità, quella che appunto vuole l’uomo e il cittadino massimamente libero, indipendente nel pensiero, alla ricerca della sua particolare felicità sapendo che gli è concesso, che la sua sarà pure diversa e strana, ma non ‘anormale’, ‘innaturale’, o di “serie B”, o fuori legge. A patto che conceda la stessa chance a tutti gli altri.
Ecco cosa vorrei trovare a scuola, luogo di formazione (culturale, ma anche interiore) per eccellenza, insieme alla famiglia.
Vorrei che, se si togliesse com’è opportuno quel simbolo partigiano di una visione del mondo affatto universale, e per molti versi anche nociva, non si lasciasse quel muro bianco, ‘libero’, come se tutto facesse ugualmente brodo. Che non si rinunciasse a proporre – per riflettere, approfondire, discutere, verificare, e poi scegliere – un minimo di valori realmente fondanti e fondenti, conditio sine qua non, né alla responsabilità che, come persone e come adulti, abbiamo nei confronti delle giovani generazioni, e della società in cui saremmo contenti di vivere.
Un muro bianco o un messaggio generico risolvono la questione solo sul breve periodo. Ma, se non si procede in parallelo a cambiare il modo di pensare, non passerà molto prima che qualcun altro ci riprovi, dall’alto di una visione della vita e delle relazioni che appunto non sarà cambiata. Anche su questo, dunque, servono “prese di posizione sostanziali e nette”.
Nella società “qualcosa è già in moto da tempo, in silenzio”, è vero, ma non possiamo solo aspettare e sperare che “qualcosa” succeda. La “prospettiva laica e civile” va attivamente, intenzionalmente creata, sostenuta e difesa in quanto tale.
Si dirà, ed è vero, che anche questa è una forma di condizionamento, e di obbligo.
Sì, ma se come detto la libertà totale è inaccettabile, in convivenza fra pari, e se è vero che di valori uno Stato, e una persona, comunque se ne darà quali che siano, e se pure ogni scelta di valori e ogni conseguente legge, regola di convivenza o obiettivo sociale sono in sé stessi un forzare, un pilotare e imporre, almeno con *queste premesse*, questo insieme specifico al contrario di tanti, l’imposizione è la minima veramente possibile, e grande, anzi massima, invece è la libertà, indipendenza e opportunità che si crea grazie ad esso, e di cui – all’interno di esso – si può finalmente godere.
Il tema dunque è certamente delicato, perché da una parte vorremmo tutti più libertà, più giustizia, più rispetto, più benessere, dall’altra quando si tratta di partecipare attivamente alla loro realizzazione ci si accorge che questa in fondo è una ‘visione di vita’, e la reazione più spontanea, allenata in anni di lotta contro ogni imposizione e presunta verità, è quella di rifiutare di imporre a nostra volta le nostre presunte verità.
Eppure, quella parete non resta bianca comunque, ed astenersi dalla benché minima proposta – coscienti dell’arbitrio, forti almeno della verifica dei fatti e quanto meno invasivi nell’offrirla – equivale a condannarsi agli errori del passato.
Pare evidente al sottoscritto, allora, che ‘la lotta per la laicità’ non avrebbe mai fine.
E tuttavia, la questione così posta non sembra ancora suscitare grande interesse nella comunità italiana dei non credenti.
Sintomatico è stato il fatto che pochi hanno proposto qualcosa che si rifacesse a questa lettura del caso ‘crocifisso in aula’, quando sollecitati a riflettere su possibili alternative. L’Uaar stessa non ha incluso la Dudu (o qualcosa di concettualmente simile) fra le semifinaliste, attenendosi alle più suggerite e senza prendere posizione.
Come ho scritto altre volte l’Uaar è tutt’ora in bilico fra una concezione (e una proposta) di laicità ‘stretta’ e quella – più coraggiosa e meno banalmente ‘corretta’ nei confronti di ‘tutte le concezioni atee del mondo’ senza distinzione di qualità (che tuttavia esiste, eccome!) – di una laicità allargata ai valori di una convivenza civile e quanto più soddisfacente per tutti. Per vari motivi, ma primo fra tutti a mio avviso questa difficoltà a voler prendere posizione sui valori, che pure ha al suo interno. E, al suo interno, cresce nel tempo la voglia (recentissimo ad esempio è il bel riferimento a un positivo ‘orizzonte laico’ da parte del Segretario uscente).
È invece già il percorso consapevole di quello che nel resto del mondo occidentale è chiamato secular humanism, o umanesimo ateo.