Su L’Unità online, Capriccioli riporta un’intervista al vescovo emerito di Otranto. E in certe non sorprendenti, ottuse affermazioni scopre il senso nascosto del fanatismo di casa nostra. Io, anche di più.
Scrive:
“«Purtroppo i tempi sono radicalmente cambiati e direi in peggio, con donne spesso ribelli nel nome di un femminismo esagerato, che pretende di cambiare il corso della natura e della storia. Non lo dico io, ma San Paolo: la donna sia sottomessa al marito che rimane pur sempre il capo della famiglia non per capriccio, ma per rispetto di un ordine costituito. Queste cose, che non ho inventato io, ma sono nella scrittura, andrebbero ribadite con maggior fermezza, ma oggi spesso si sorvola per quieto vivere».
Chissà cosa sarebbe successo, se a dichiararlo pubblicamente fosse stato un musulmano di qualche importanza: sarebbe tutto un fiorire di levate di scudi, dichiarazioni allarmistiche sullo scontro delle civiltà e solenni incitamenti a difendere le radici cristiane dell’occidente dall’invasione incontrollabile dell’orda islamica.
Invece l’ha detto un vescovo, e quindi, a quanto pare, nessuno si prende la briga di indignarsi.
Allora, ne converrete, il punto dev’essere un altro”.
[ L’articolo completo: Quando il vescovo cattolico è più maschilista dell’imam. Qui l’intervista originale ]
Qual’è, questo punto? È chiaro: c’è un vescovo (emerito) della chiesa cattolica che vive come fermo a 2000 anni fa – anzi, come in un libro di 2000 anni fa – e gradirebbe che tutti vivessero nel libro come lui. Poi c’è il libro stesso, pieno pieno di parole – alcune belle, altre, come si vede, molto meno – ma il discorso si farebbe lungo, lasciatemelo affrontare in altro luogo. Poi c’è l’autorità, morale e pubblica, che sua eccellenza riveste a nome della sua rinomata chiesa, nell’esprimersi contro alcune delle più belle conquiste del mondo moderno (la parità dei sessi, la libertà delle donne di decidere per sé stesse, come anche l’omosessualità serenamente vissuta) riducendoli al ruolo di preconcetti biblici da condannare, letteralmente.
Poi c’è la paura, quella di vedersi strappare sia il sogno di una società interamente cristiana che il monopolio della morale e delle coscienze, espressa aizzando al nemico (che stavolta è genericamente un’altra religione, altre volte e più spesso il secolarismo) invece che facendo responsabile autocritica.
Poi c’è il senso del messaggio, che non è contro gli estremismi, ma per l’estremismo, non contro l’intolleranza ma per l’intolleranza, a patto che siano quelli cattolici.
Poi c’è l’ipocrisia, che in questo caso – come tanti altri, quotidiani e simili – sta in quel modo geniale di presentare il male pronunciandosi sul bene, di obbedire a un ordine credendosi liberi e responsabili, di essere spietatamente umili. Poi c’è la confusione, che deve prendere – immagino e spero – anche i cattolici che non si rispecchiano in certe rigide vanterie, perché non si capisce mai che peso dare a certe uscite: è un personaggio importante, un rango di spicco, un riferimento esemplare e certamente ispirato da Dio – eppure si fa presto a banalizzare l’enorme peso di certe affermazioni, dicendo che in fondo è l’opinione di un singolo, e pur sempre un uomo.
Infine, ci siamo noi.
Noi colpevoli e complici, nel nostro silenzio. Perché se qualsiasi persona ha diritto ai suoi difetti, non dovremmo permetterle né di esprimersi dal pulpito né di sentirsi vezzeggiata dalla nostra gratitudine per il buono che fa, senza che discorsi del genere non siano pubblicamente disprezzati e irrisi per mezzo di una sana, indignata, profonda critica liberale e umanista che li smonti pezzo per pezzo. Pubblicamente.
Un punto molto esteso, in effetti.
Cambieranno le cose? Se non saremo noi a farle cambiare, controbattendo con le nostre idee a queste idee, e innanzitutto accorgendoci di quali gravi conseguenze certi insegnamenti di cieca fede hanno prodotto e producono quando lasciati a sé stessi, probabilmente no. Facciamo una rivoluzione! Con la voce.