Sul forum Uaar in una recente discussione un credente difende così la sua scelta di credere:
“La felicità è uno stato della mente individuale e può essere valutato solo da chi vive questo stato. Ciò che induce o provoca questo stato è diverso da individuo ad individuo. Tu puoi parlare solo della tua.
A ciascuno la sua felicità”.
Il che, detto da un cattolico, è anche carino. Cioè, non so in che misura lo abbia detto solo per riaffermare in mezzo a non credenti il diritto di chi ha fede a trovarvi la felicità, ma certamente ha anche abbattuto per un post un concetto principe della sua stessa dottrina: che la fonte della felicità dell’uomo è in Dio, e non ci piove.
Comunque, gli risponde un ateo razionalista e molto pratico:
Certo. Che ognuno cerchi la propria felicità. Per conto proprio. Come desidera.
Ma senza soldi pubblici. Facile, no?
Giusto, ma anche questo incompleto. Dato che l’argomento – felicità dell’uomo! – mi è molto caro, formulo la mia risposta:
La vedo un po’ più complessa di così.
La felicità del singolo è sua personale e si deve intralciare il meno possibile, magari per niente, e invece favorire. Ma va detto anche: non è che una felicità vale l’altra, non tutte le ‘felicità’ sono uguali o ugualmente auspicabili.
La felicità è una giusta aspirazione e un fine essenziale, ma se non accompagnata da altri ugualmente essenziali, può essere tutto sommato mediocre, se non addirittura un danno. E il limite non è solo quello dei soldi pubblici.
Per provare felicità basta relativamente poco. Già ‘essere felici’ è diverso, ha un che di ‘aver messo insieme le condizioni per’.
Ecco, condizioni.
Per esempio, la felicità di uno che cresce indottrinato – verso qualsiasi sistema di pensiero abbastanza cattivo da aver bisogno di indottrinare – è sempre felicità, ma glielo eviterei volentieri, soprattutto il percorso necessario per arrivare a considerla felicità.
Si ricordava la droga, esatto, e anche quel tipo non può essere permesso. Tra l’altro perché spesso la felicità del drogato è l’infelicità di quelli che lo subiscono.
E non c’è solo la droga, eh, ma anche per esempio la follia egoistica di certi industriali e capi di governo, la felicità del ladro, quella del narcisista, quella vuota e superficiale di certi vips, quella autodistruttiva di certi adolescenti, quella distruttiva di chi ritiene che dio è al primo posto e se comanda di dar giù ai secondi eccosissìa…
Tutta gente felice.
Allora, è evidente come entrare nel merito della felicità altrui non solo è possibile, ma a volte anche doveroso. La felicita è uno stato individuale e può essere valutato da tutti.
Sia da chi lo vive, sia da chi si relaziona con la di lui/lei felicità, sia da chi ne osserva cause/ragioni e risultati/sviluppi, sia da chi deve porre le basi perché quella felicità (e altre) sia per quel singolo (e altri) raggiungibile (o meno).
<enfasi>Ciascuno deve essere lasciato in pace e libero di realizzarsi nel suo tipo di felicità, ma anche prima non deve subire pressioni che manovrino le sue proprie ispirazioni e la sua capacità di scelta autonoma. E *a patto* che poi non rompa le palle.</enfasi>