È stato definito ‘nuovo ateismo’ quel movimento moderno, di proporzioni crescenti in Italia e nel mondo, di atei orgogliosamente tali – filosofi, scienziati, intellettuali, artisti, persino politici, e naturalmente persone comuni – i quali non hanno più problemi a dichiararsi pubblicamente non credenti, ed anzi a far sentire la propria opinione attraverso libri, siti web, progetti, interventi, interviste e quant’altro.
Non che l’ateismo sia una cosa nuova in sé, ma è proprio questo vociare, questo sollevare questioni sull’etica e la religione, l’aperto rifiutare la veste di ‘persone cattive’ gentilmente offerta dal pregiudizio religioso, l’intenzionale attività pubblica, a farne un movimento ‘nuovo’ e innovatore.
Nel 2007, a dimostrazione di come i tempi siano maturi, Dawkins, Hitchens, Harris, Dennett, Onfray, D’Arcais, Odifreddi, hanno fatto parlare di sé al punto che l’ateismo è diventanto un fenomeno di cui discutere: i loro spesso notevoli argomenti hanno imposto una riflessione (serve un dio per vivere?), prodotto approfondimenti (tengono le basi storiche, razionali, etiche della fede?), vivificato il dibattito (qual’è la visione di vita migliore?), offerto a molti un esempio da seguire, sollevato inchieste sui privilegi alle chiese, lanciato la revisione di statistiche (quanti sono i non credenti al mondo, in effetti?), ..
Bene!! Tutto questo è stupendo. I dubbi su dèi, religioni, valori e sistemi di vita che tanta gente cova in sé oggi trovano interessanti e fondate risposte, da cui traspare una visione del mondo che può ben fare a meno degli dèi, e fondarsi su un’etica umana veramente rispettosa di tutti.
Cosa si può criticare, di questo ‘nuovo ateismo’? 2 cose, a mio parere: innanzitutto, il parlare più di ateismo che di umanesimo ateo. La cosa è ben diversa: il primo è il semplice non credere, il secondo è una visione di vita completa. Ed è proprio su questa che – come atei – dobbiamo puntare, anziché farla solo intravedere, perché
- Più spesso che no, è proprio questo che noi atei proviamo e pensiamo davvero della vita!
- È solo questo che possiede i requisiti per un cambiamento reale in meglio della nostra società (mentre l’ateismo da questo punto di vista è ‘vuoto’);
- Ha molto più senso proporre una visione di vita, laddove le religioni pubblicizzano le loro;
- È il modo migliore per far tacere il pregiudizio secondo cui l’ateo non ha valori né etica:
- Tu credi in dio?
– No, sono un ateo umanista..
– ..Ah!
- È sotto l’ala dell’umanesimo che è più facile radunarci e sentirci vivi insieme, come un vero gruppo sociale.
In secondo luogo, questo: una delle critiche che alcuni esponenti del ‘nuovo ateismo’ (non tutti!) muovono alla religione, in particolare ai 3 monoteismi (cristianesimo, ebraismo, islam) è che sarebbe soltanto portatrice di assolutismo e repressione, dunque di violenza fra persone, e potenzialmente di guerre vere e proprie.
Questo è indubbiamente vero, a mio parere, ma solo in parte.
La realtà dei fatti, che dovrebbe balzare anche agli occhi di ogni ‘nuovo’ ateo, è che sì, la storia ci dice che la religione è stata spesso usata a questi ignobili scopi, ma non *solo* per questi. Fra i credenti, a dire il vero soprattutto i semplici credenti piuttosto che le gerarchie, ci sono e ci sono sempre state persone meravigliose, e persone che hanno dato molto agli altri in termini di aiuto pratico e spirituale. Impossibile negarlo, direi, a meno di non indossare i paraocchi del pregiudizio fanatico che proprio noi atei spesso lamentiamo di notare sul viso dei credenti più bigotti.
Chiarito, doverosamente, questo secondo aspetto, non intendo però sottovalutare il primo.
Ecco un pezzo che ho scritto per la prossima edizione del mio ‘Il Piccolo Ateo’: è diventato piuttosto lungo e non so ancora se ce lo inserirò così com’è, ma il tema è comunque troppo importante per evitarlo. Ve lo anticipo (in anteprima!) 😀
“Sostengo non che la religione sia la causa ultima della violenza nel mondo, ma che possa esserne un ottimo strumento. E non per una fede male intesa, ma proprio per come può correttamente essere interpretata.
Alla base c’è l’uomo e la sua sete di potere: la religione con il suo Dio indiscutibile può offrirgli sia un formidabile appoggio al controllo degli altri, sia una giustificazione teorica a questi comportamenti.
Una religione così usata è la semplice manifestazione della primitiva mentalità potere-obbedienza. È la mentalità del dittatore, e da che mondo è mondo ogni autorità del genere si è creduta *superiore* in modo assoluto, vuoi per diritto divino, per ‘sangue blu’, per origini di razza, età, posizione, e quant’altro. Bontà e giustizia apparterrebbero all’autorità.. al di là di bontà e giustizia effettive! Ma una differenza, una condizione che determini il vantaggio dell’uno sull’altro non esiste al mondo, è un fantasma artificiale, creato in cattiva ma spessissimo anche in buona fede (incoscientemente) proprio per giustificare privilegi, regole e diritti non difendibili per sé stessi.
La religione in questo è particolarmente efficace, in quanto giustifica il potere legandosi nientemeno che all’idea di perfezione divina, qualcosa in cui è inconcepibile trovare un difetto, perché per definizione non sbaglia: Chi ve lo trova sarà dunque automaticamente in errore, chi non è d’accordo dev’essere ovviamente malvagio/a.
Un’altra situazione in cui si sviluppano facilmente relazioni di potere è ancora oggi la famiglia, quando i figli fin da piccoli (dipendenti, fiduciosi e ancora privi di stumenti) subiscono i comportamenti deviati di genitori autoritari, spesso sinceri ma incapaci (mancanti anch’essi di quegli strumenti, per non averli mai potuti apprendere), a loro volta cresciuti in tale atmosfera e dunque di essa inconsapevoli. Per conto mio, quest’ultima è la base di tutto: se è possibile che da adulti ci facciamo condizionare, figuriamoci da bambini!!
La bontà della propria visione del mondo va misurata sui risultati e attraverso il confronto, in quel rispetto reciproco che parte dall’idea che – in quanto umani – godiamo di uguale diritto a libertà, benessere e autodeterminazione. Il potere – come sistema di oppressione – ha ragioni indubbiamente false, che a volte sollevano più di un sorriso, o del bonario compatimento, a patto però di non esserci ancora immersi dentro: chi crederebbe oggi alla divinità dell’imperatore, o alla superiorità del maschio o del bianco, se non chi ancora crescesse in tale ambiente?
Nessuna novità e nessuna sopresa, quindi: una religione così intesa nutre per natura una presunzione che può diventare fanatismo, favorisce un’intolleranza che può farsi imposizione violenta. Non solo la grande violenza fra civiltà e Stati, ma la piccola, quella di ogni giorno, intorno a noi; e non solo la violenza fisica, ma anche quella psicologica (che può essere persino peggiore). Così è per l’educazione dei bambini: la sofferenza subita e rimossa, o accettata come forma di bell’amore, ci rendererà a nostra volta oppressori od oppressi, forse protettivi e amorevoli ma insensibili e severi, o ci spingerà a una ribellione incosciente, senza freno e con danno.. puntando il dito alla quale oppresso e oppressore avranno buon gioco nel sentirsi nel giusto, il primo nella sua passiva prigionia, il secondo come dispotico gendarme, entrambi aggrappati alle proprie idee fisse (e torna il dogma!) e alle proprie distorte speranze (sono bravo/a, amami Padre! Noi non moriremo.), ormai ciechi e sordi agli altri e a sé stessi.
Penso che possiamo riconoscerci in questo stato di cose, per averlo vissuto o visto vivere, o appreso dalla storia e dalla cronaca.. E se è vero, allora anche tanti lucidi credenti non avranno difficoltà a trovarsi d’accordo con la mia tesi.
La mentalità del dittatore produce rapporti di potere, e – quel che è più grave – una rigidità di pensiero e sentimento che è l’ideale terreno di nuovi rapporti di potere: ci mettiamo nelle condizioni di rifare gli stessi errori.
E attenzione: sarebbe grave scambiare questa persistente condizione per naturale e inevitabile. È solo quella che, nata in tempi antichi di ignoranza, bisogno e violenza, abbiamo ereditato e ci trasciniamo dietro. È solo una che tende a riprodursi facilmente, nella misura in cui ci rende ciechi ai suoi stessi difetti. È ovvio che, finché ci comporteremo così, i risultati saranno uguali. Chi può meravigliarsi se ci rinasce dentro quella scellerata e presuntuosa ‘sete di potere’?
Usciamo dal gioco! Oggi, che ne abbiamo consapevolezza, possiamo fare meglio. E dunque stare meglio!
Portiamoci fuori da questa dinamica dannosa e impediamo che si ripeta. Comportiamoci con rispetto, e lasciamo pesare le nostre azioni per il bene che effettivamente portano o non portano, invece che per stupidi pregiudizi che con esso non hanno a che fare.
Ammettiamo le nostre colpe, i nostri limiti, cresciamo insieme.
Diamoci stima e rispetto.
Guardiamo i vecchi errori con compassione, e i successi con orgoglio.. Impariamo dalla nostra storia per cambiare a piccoli passi il nostro presente. E con esso, il futuro!!
Sarà difficile, a volte molto difficile, ma più facile di quanto crediamo. Sarà doloroso, a volte molto doloroso, ma meno di quanto temiamo.
La strada per uscirne è segnata, oggi possiamo migliorarci in modo radicale e definitivamente smetterla di farci del male. Il primo passo è abbandonare la mentalità del dittatore, del rapporto di potere, dell’autorità imposta e intoccabile, dunque vile e tendenzialmente violenta, rigida e perciò spesso inadatta.
Il secondo è adottare la mentalità del rispetto reciproco, del rapporto di uguaglianza nei diritti di base, della responsabilità condivisa e messa alla prova, dunque coraggiosa e tendenzialmente pacifica, sensibile, flessibile, e perciò più funzionale”.