La campagna social dell’Uaar sul crocifisso partita mercoledì ha questo preambolo:
“Riteniamo sia più giusto togliere dai muri della scuola ogni simbolo di fede, e dedicare quello stesso spazio ai principi fondanti dell’educazione e dell’istituzione scolastica che, a differenza della fede, sono uguali per tutti e perfettamente contestualizzati sopra ad una cattedra.
E voi cosa suggerite? Scrivete nei commenti le vostre idee!”.
Diverse sono state le proposte (inclusa quella di non metterci niente) fra i commenti. Il post inoltre è stato finora condiviso da quasi 2mila persone, il che significa che almeno il triplo se l’è visto nel proprio feed. Se anche solo il 50% di queste persone ci ha riflettuto un attimo, non è davvero male.
Io, su quel muro alle spalle della maestra, ci appenderei qualcosa? Se sì, cosa, e perché?
Direi: Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e Costituzione italiana.
Non metterei la bandiera tricolore, nell’Italia di oggi mi pare più wishful-thinking (purtroppo), e inoltre il suo senso è soggetto a opinioni diverse. E nemmeno la foto del presidente della Repubblica, che è temporaneo e fa molto ‘culto dell’imperatore’.
Ottima l’idea dei ritratti di personaggi importanti, sia in campo scientifico e letterario che pedagogico, sociale e umanitario. I primi però li vedrei semmai esposti su un’altra parete (bellissimo immaginarli mischiati sui muri insieme a mappe, disegni e cartelloni coi lavori dei ragazzi!), i secondi forse sarebbero troppi come rapido simbolo, di cui si disperde il senso.
Il senso?
Il senso – se un simbolo vogliamo metterlo – dev’essere a mio avviso qualcosa tanto significativo e ‘universale’ quanto sintetico, non mediato o filtrato, senza significati aggiunti. Era ed è questo il problema del crocifisso, non universale e affatto univoco.
Allora, tolto quello, lo spazio va riempito con qualcosa che mostri e implichi, più che un richiamo alla scienza e all’apprendimento appunto, i valori di convivenza etica, fecondi, attuali, condivisi, riconoscibili e d’ispirazione.
Quel minimo di riferimenti etici – e laici, nel senso di indipendenti dalle religioni e possibili a tutti – che oggi riteniamo ‘il meglio’ per quanto attiene alla vita e alla vita insieme.
I sostenitori del crocifisso questo senso gli danno (sbagliando, in buona ma spesso anche in cattiva fede, sapendo bene cioè della doppia faccia e doppia funzione di quell’esempio), e hanno ragione solo sul fatto che un simbolo del genere – ma non il crocifisso – a scuola – che è anche scuola di futura cittadinanza e già luogo di convivenza – ha grande utilità nell’ambito educativo di un progetto di crescita, e dunque ragione d’essere.
A mio avviso la Dudu e la Costituzione (che in fondo ne declina i princìpi) possono stare molto bene appesi là dove ora c’è la croce (o un uomo torturato e morente).
Dudu – una selezione dei suoi articoli, o anche la sola prima frase dell’art.1:
“Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti”.
e/o Costituzione – i primi 3 articoli, o solo il terzo in tutto o in parte:
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
Idee ampie, profonde, rappresentative, sia come simbolo che come spunto di approfondimento, anche ad esempio durante l’ora di educazione alla cittadinanza.
Ricordando però anche questo: che il simbolo non vale in sé stesso.
È appunto simbolo di, ispirazione a, ricordo, specchio di alcuni valori, e sono quelli e solo quelli che importano. Mettere la Dudu là e non capirla e non viverla, ma sentirsi a posto perché è in bella vista, è vuota e comoda apparenza, ipocrita e manipolatoria facciata. Non è l’astrazione ‘Dudu’, o ‘la bandiera’ o ‘la Costituzione’ o ‘il Presidente’, che, svuotati del primo significato e trasformati in altro, vanno esaltati. Il loro valore è essere funzione di valori.
Per essi vale la stessa idea: non sono né perfetti né indiscutibili, importano solo se sono prima tratti dall’esperienza di ciò che funziona, e poi vissuti. E se poi, vivendoli, danno buoni e verificabili frutti.
In altre parole, di dogmi ne abbiamo abbastanza.
La scuola non è luogo da cui i valori civili devono stare lontani, allo stesso tempo non è un luogo per dogmi.
La conoscenza è umile, pragmatica, progressiva e sempre migliorabile. E la necessaria convivenza – in classe come altrove – si fonda e si regola su quel minimo di princìpi effettivamente funzionali a una vita piena e serena fra ragazzi, fra persone – il presente, il futuro – con lo stesso identico diritto d’averla. Parlarne è importante.
Che ci siano, a scuola (come in famiglia) cioè dall’inizio della vita, è importante!
E allora benvenuto su quei muri un nuovo simbolo, davvero di tutti e per tutti. Da lì, mille occasioni di approfondimento, discussione, e messa alla prova, che è poi quello che conta. Così si fa davvero scuola.
ps E come si fa famiglia? Argomento ancora più delicato, ma arriveremo anche lì. Naturale e logica conseguenza.