Minchia che palle. O forse no.
È che mi sono rotto le scatole di essere trattato pubblicamente come una pezza da piedi. Il papa si sveglia una domenica e spara a zero sull’umanesimo ateo. Mi dice che sono un delinquente. Una specie di esaltato nichilista che se ne fotte delle buone regole perché non credo nel dio cattolico. E se gli gira pianta sù un bel lager, altro che umanesimo.
Sono irritato. Non tanto perché un pincopallo qualunque ha parlato male della mia filosofia di vita – al limite ci rido sopra e gli do dell’incompetente – ma perché è stato uno la cui opinione è stimata dalla massa, uno le cui parole rimbalzano di regola su tutti i media e dunque hanno una eco potentissima. Che lo si voglia o no, un articolo sul quotidiano o un servizio in tv lo si becca e dio sa cosa rimane nella mente e nel cuore di tante persone quando si leggono simili sbrodolate.
Gli risponde Adriano Sofri dalle pagine di Repubblica, con un intervento sentito e completo (ma non perfetto), unica voce pubblica in un mare di voci indifferenti. Che non sia un grosso problema, quello dell’etica? Cioè, che davvero abbia ragione il papa quando afferma che essa non può esserci se non in Dio, e chi lo nega annega e fa annegare?
Questa seconda considerazione mi toglie il fiato: siamo indifferenti al problema, oppure d’accordo col papa. Se umanisti in Italia ci sono, non fanno parte del pur folto gruppo di intellettuali, filosofi, politici, professori, scrittori o gente di spettacolo che avrebbero voce in capitolo, per così dire. Oppure tacciono, abbozzano, per qualche ragione. Nemmeno gli atei, la ‘formazione’ opposta al cattolicesimo più organizzata in Italia, pensa di dire nulla. Non che sarebbe pubblicata, ma per quel che ne so non hanno nemmeno tentato. Che non esistano atei umanisti, in Italia?
Vito Mancuso pensa di sì. Il teologo infatti ribatte a Sofri dalla stessa Repubblica con un pezzo in cui afferma che in fondo da umanisti o si crede, o non lo si è.
Il silenzio dei personaggi pubblici, quelli da cui desidereresti sostegno, la condivisione di un’idea, di un ideale, stavolta è totale. E il mio umore è pessimo.
Ma un attimo. Mi diverto a leggere alcuni commenti positivi in Rete. Come ho potuto pensare che l’Italia fosse morta?
È solo agonizzante, mi dico, e questo lo so.
Non è possibile – ancora – aspettarsi nulla di particolare dalle grandi firme della cultura sul tema specifico, *umanesimo, libertà dal dogma e rigetto dei discorsi campati in aria*, ma fra noi, alla base della società, qualcosa si muove. Si è sempre mosso, in realtà. C’è una parte di noi che è viva e riconosce il problema, viva e pronta a reagire. Nel suo piccolo.
Allora ho anche riflettuto sulla forza dei discorsi del papa, in generale. In fondo chi se lo fila più, pover’uomo? Lo zoccolo duro, certo, ma poi? Gli atei e gli agnostici se ne fottono, gli altro-cristiani e gli altro-credenti non ci badano troppo, i cattolici da Natale Pasqua e Battesimo – gli stessi che disertano le chiese – lo trascurano senza farsene un problema, e insomma?
Cazzo, Andrè, forse mi preoccupo per niente. O quasi niente.
Quasi niente perché il problema resta, ed è sempre lo stesso dell’ottusità e del menefreghismo popolare, solo che non è più prodotto di chiesa, ma del distacco da essa senza alcuna reale alternativa. O meglio ancora: insieme all’ottusità bigotta prodotta da una fede cieca (religiosa o politica) c’è anche il menefreghismo sociopatico che nasce dall’assenza di princìpi e di esempi, di cultura, memoria e fiducia nel futuro. In altre parole, a mio modo di vedere, c’è assenza di umanesimo.
La questione è seria dunque, e non sono certo tesi come quelle del papa o del Mancuso che aiutano a vederci chiaro. Al contrario, mischiano, confondono e accecano, e il rischio è che per evitare il ‘nichilismo’ e l”arbitrarietà’ si torni all’eccesso opposto dell’assolutismo, poco importa se se considerato ‘divino’. Occorre parlare di più e meglio di umanesimo ateo, per il bene che possiamo farci con i princìpi che racchiude e rappresenta, stando nel mezzo fra questi due mostri assetati della nostra umanità.
E proprio quando mi sto finalmente accarezzando con questi pensieri, arriva via email la newsletter dello Humanist Network. Nel sommario mi colpisce un titolo: “Why secular activism is so important”, perché l’attivismo secolare (ateo, laico, umanista) è così importante. Mi colpisce e basta. Non leggo oltre, non mi serve, so perché. Mi sorrido, e prendo a scrivere.
Spedita ai maggiori quotidiani e riviste il 20/08/2009
Umanesimo ateo? Tutto bene, grazie.
Caro direttore,
sono un ateo umanista e recentemente ho scoperto di essere un poco di buono, anzi di non esistere. All’Angelus del 9 agosto infatti il Papa ha definito l’umanesimo ateo come una filosofia che, senza Dio, è destinata ad essere “arbitrarietà”, “nichilismo”, persino “inferno sulla terra”, come quello nazista. Tesi rimarcata giorni dopo a cura del teologo Mancuso, che spiega su Repubblica come l’umanesimo ateo in realtà sia “impossibile”, perché il comportamento “eticamente cristallino” dipende in realtà dalla stessa “assolutezza etica” e dalla “prospettiva spirituale” che hanno le religioni. Allora com’è: sono io che non ho capito mai me stesso, o è sbagliata questa loro conclusione? Mi basterebbe un errore, una sola piccola crepa nel loro ragionamento per concedermi se non altro il dubbio. Ma sì, ecco!
Il nazismo non fu nichilista, aveva anzi una dottrina salda, assoluta, e persino un che di cristianesimo – non certo cattolico – ancora incastonato dentro insieme al resto. D’altra parte, decidere da sé che cosa è bene e cosa è male non deve essere per forza cosa perversa, dipende appunto da quali princìpi si sceglie di seguire, e da come li si pratica. In questo siamo d’accordo, il regime nazista fu un pessimo esempio di fede malriposta, inverso e ben distante dall’umaneismo ateo.
Piuttosto dunque, è la definizione stessa di umanesimo ateo che sembra sfuggire ai due autori: esso non è affatto nichilista, se non nel senso di mancante di un fondamento “eterno” secondo la definizione del Mancuso, che in questo dettaglio mi risulta filosoficamente errata. Poiché invece il nichilismo si limita a sottrarre valore e senso alle cose, è evidente che la filosofia atea e umanista non ne è parte, dal momento che essa di valore alle cose – a certe cose almeno – ne assegna e ne aggiunge. Ad esempio alla libertà dell’uomo, alla sua responsabilità e al suo diritto di scegliere da sé, anziché che al rimettersi passivamente alla volontà di qualcun altro, sia pure un dio. Non vedendo cosa ci sia di male in questo, e scansando questa cosa della dipendenza che par tanto piacere a certuni, tengo a precisare tuttavia che nell’umanesimo ateo nessuno si fa né Dio né fuhrer, dal momento che siamo ben consci dei nostri limiti, tanto da non pretendere d’avere un’etica infallibile e indiscutibile. Essa è piuttosto il frutto di un accordo per il bene comune, secondo princìpi che l’esperienza ci dice funzionali.
Per essere chiari: fra l’assoluto e l’arbitrarietà che giustamente temono gli autori, vi è una terza via che è un po’ quella delle democrazie moderne, le quali creano leggi stabili ma eventualmente riformabili, in base a criteri che facilitano la realizzazione di sé, la convivenza pacifica, il benessere, il progresso. È vero, non tutte le democrazie funzionano, ma come non ricordare che anche le teocrazie hanno miseramente fallito in passato, e che ancora oggi proprio non si capisce quale sarebbe la migliore, fra quelle che assicurano di beneficiare di una guida divina? Piuttosto sarà un problema di perfezionamento: se la cronaca ci parla ancora di casi così terribili, è proprio a partire da essi, dal fatto che ci atterriscono e ripugnano, che possiamo definire ciò che invece va fatto e fatto meglio, ciò per cui vale la pena vivere. Credenti o non credenti, siamo spesso uniti e uguali in questo, mi pare. In questo senso, c’è umanesimo.
E l’umanesimo ateo nasce proprio da qui. Nessuna “assolutezza etica”, dunque, e nessuna “prospettiva spirituale” che sconfini da questo mondo, ma un umanesimo che trova amore, rispetto reciproco e pace guardando l’uomo negli occhi, e non mirando la sua immagine negli occhi di Dio. Se poi chi crede vi innesta qualcosa che oltrepassa questa passione e questa compassione, fino ad adorarle in un dio senza riuscire più a vederle in sé stessi, stavolta sono io a dubitare che ciò si possa chiamare propriamente umanesimo.
Infine (non vorrei essere pignolo, ma la posta in gioco è alta): un altro cardine dell’umanesimo ateo, di valore pari al cuore, è la razionalità. E alla luce di entrambi, le conclusioni del Papa e del teologo si rivelano in bilico su un’analisi storicamente e filosoficamente infondata, artefatta, inclemente, e un po’ ipocrita. Invero, l’umanesimo ateo esiste, è vivo e in ottima salute. Chi dice il contrario, foss’anche il Papa, dovrà argomentare meglio, o sopportare.