In forma breve, spedita ai maggiori quotidiani il 27/07/18.
Perché è questo che conta: se si è cattolici (e magari leghisti) allora si è evidentemente bravissime persone dalla parte giusta.
A nulla, se non a svelare un’ipocrisia consueta, vale la motivazione scritta nella proposta di legge, che tenta di propinare il confine cattolico rappresentato dal crocifisso come “elemento essenziale e costitutivo e perciò irrinunciabile del patrimonio storico e civico-culturale dell’Italia, indipendentemente da una specifica confessione religiosa”. Come se questo bastasse a giustificarne l’ostensione forzata, e svuotando in realtà quel simbolo dal suo intrinseco, palese, e generato e venerato in quanto tale, senso religioso.
Questo giocare con le parole, questo parlare con lingua doppia, è tipico di chi, sapendo di non poter contare sulla trasparenza – e spesso, di avere torto – affabula i contrari – con chi ci crede e apprezza, non gli serve – tentando di fargli digerire l’altrimenti indigeribile con retorica sofistica. Ma sempre una sofisticazione rimane.
Spiego.
Salvini, voi tutti: l’Italia è un Paese laico, ed è un Paese in cui a molti non piace essere presi per il naso.
L’Italia non è un Paese cattolico, né soltanto cristiano, il cristianesimo ha una dottrina in parte discutibile, e non è comunque la fede che determina la bontà o la correttezza di una cosa, o di una persona.
L’Italia è anche un Paese che tragicamente manca di cultura e civiltà, e per crearla e crescerla non serve appendere al muro una parte sola del passato – obiettivamente poi non sempre positiva – ma celebrarne il meglio ovunque fosse, e riproporlo oggi, con l’umiltà e la fatica di un lavoro sociale.
Ecco, scriviamoci questo sui muri.
Spiego meglio.
L’Italia è un Paese laico, ovvero si fonda su valori umani e non ‘divini’.
Divini tra virgolette, perché di fatto cambiano a seconda di quale religione e quale sua denominazione si tratti. Ed è per questo che lo Stato è laico, ed è per questo che si fonda su valori umani e non ‘divini’.
Postilla: anche i valori umani, a dirla tutta, sono diversi. Per fortuna – anzi no, per maturità e consapevolezza – in Italia sono stati scelti quelli della Costituzione, in linea con quelli della successiva Dichiarazione universale dei Diritti umani.
Quanto alla loro applicazione sincera, abbiamo ancora da lavorare. Ma la linea è quella: uguaglianza fra gli uomini tutti senza distinzione di razze (che infatti nell’uomo non esistono) e religioni (tutte pari di fronte al Paese), pace, giustizia, e massima libertà entro i limiti della reciprocità.
La fonte di questi princìpi, di questi diritti e doveri scelti davvero per tutti, è l’uomo, ovvero ciò che – in modo continuamente verificabile – funziona per il suo benessere e la sua realizzazione. Diverso sarebbe fissarne di inverificabili per volontà e soddisfazione ultima di chi umano non è, e delle umane fazioni che, credendoci, se ne fanno portavoce. È già abbastanza difficile, figuriamoci.
Lo Stato laico non ha fede.
Può averla il singolo credente eletto al parlamento, ed essa può ispirare e guidare la sua linea politica, ma lo Stato come organo legiferante, in rappresentanza e a favore della società nel suo complesso, non può farsi carico di una sola religione, né deliberare in nome di una di esse, del suo credo particolare, della sua fede particolare. Non importa quanto essa si ritenga importante, finanche necessaria in via di principio, né quanto davvero sia stata utile o meno nella storia, né quanto ancora utili o doverose sostenga essere certe sue certezze. Non è questo il punto. Una legge non si fa in base al valore che si pensa di avere, ma a quello delle conseguenze che si otterranno. E questo non si valuta a priori ma a posteriori, non per l’aderenza a dei princìpi in sé stessa perché questi non sono validi in sé stessi.
Di più: lo Stato laico non ha fede perché per fede si può credere vero e giusto qualsiasi cosa. Il fatto che la totale, sicura, e perciò indiscutibile autorità venga da un dio – non importa quale, e a prescindere da cosa, secondo gli uni o gli altri, definisca e comandi – è anch’essa un’affermazione di fede.
Questo tipo di affermazioni, si può dire di preconcetti, non si applica soltanto alla religione, ma pure alla politica, all’ideologia politica – ad esempio con le sue presunzioni sulla razza, sul sangue, sul genere sessuale, sulla storia e la tradizione – che è una fede anch’essa pari a quella religiosa.
Peggio, quando sono legate.
Peggio ancora, quando si fa sfoggio dell’una per conseguire l’altra.
Lo Stato laico non ha fede perché deve pensare al bene di tutti, e questo solo è il bene: se fosse il bene di una parte, l’altra soffrirebbe. Se fosse il bene secondo una parte, l’altra direbbe che tuttavia non è il suo. Se poi questo bene fosse sostenuto con inverificabili rimandi alla propria idea di trascendente, o tesi sull’immanente da tempo smascherate come false, l’altra farebbe presto a rifiutarlo. E se invece fosse imposto, presto o tardi si ribellerebbe. Ciò che è giusto, in fondo, non è giusto per tutti? E ciò che è vero, necessita di fede?
Ma la fede è di alcuni, e per fede si può credere vero e giusto qualsiasi cosa. Cosa c’è dunque di più relativista? Di meno assoluto e universale? Di più vuoto di senso? Di più inverificato e lontano dalle necessità e dai desideri dell’uomo, quali che realmente siano, se non di una parte soltanto di essi? Per quale ragione, dunque, tramutarne i pensieri in legge?
Lo Stato laico non ha fede. I suoi princìpi li deriva altrove.
Non dovendo sottostare e regolarsi in funzione d’altro che i cittadini che rappresenta, è ad essi che guarda quando deve intervenire, con le sue leggi, nella loro vita.
Lo fa – questo ancora in teoria – prendendo atto di alcune necessità primarie dell’essere umano, e garantendo la loro soddisfazione in egual misura ad ognuno, in forma di diritti fondamentali, da cui poi la legge.
È un duro lavoro. In ciò stesso infatti è inclusa sia l’idea dei doveri corrispondenti che quella di una selezione dei valori di riferimento, ovvero di una limitazione della libertà, e se vogliamo del benessere. Una selezione arbitraria, e legata ai tempi, che è tuttavia precisa, pensata, non superflua e uguale per tutti, infine orientata alla massima libertà possibile, e al massimo benessere possibile, in condizioni di convivenza fra pari. Nessun crocifisso può rappresentare, né sostituire, questa scelta e questa impostazione. Né invero vantare di averla sempre seguita e soddisfatta.
Che stia su pubblici muri dunque è quantomeno inadeguato.
La stessa idea di laicità trae da questa impostazione la sua ragione d’essere. Opzione migliore fra teocrazia e dittatura, è terreno fertile per l’espressione di sé in ogni direzione e secondo le più disparate normalità, stante il rispetto reciproco. Rispetto – che non vuol dire apprezzamento o gradimento per sé, ma accettazione dell’altrui libertà d’essere – reciproco – cioè non infinito.
Che poi un dio, una religione, o un partito, vedano in certe idee o comportamenti qualcosa di non normale, non naturale, non sensato o salutare, è per così dire un problema loro. Prima di farne una legge, prima di imporne il divieto e l’obbligo d’altro, e prima di definire per tutti cosa è giusto, buono e vero, o assoluto e universale, provvedano a dimostrare che lo sia.
Intanto, lo Stato laico procede per la sua strada. Evitando – con fatica già sufficiente e senza imporsi oltre – divieti ed obblighi faziosi e privi di sostegno, e ispirandosi a valori comuni che nulla hanno a che fare con gli dèi o i loro simboli, e tutto con la natura dell’uomo e della società, in delicato equilibrio fra realizzazione di sé, certamente doverosa, e necessità di convivenza, tuttavia ineludibile.
Lo Stato laico non ha fede, e si tiene distante dalle sue certezze facili e abbondanti. Ma non è che non abbia dei valori suoi. Li ha e li agisce in silenzio.
Forse troppo.
Il terreno fertile della laicità va nutrito, e non con l’esposizione di simboli costruiti d’altro significato senz’ombra di dubbio, ma ricordando che ciò in cui crediamo – che vogliamo resti, e abbondi – è libertà, pace e uguaglianza, giustizia, verità e opportunità. Questo, su tutto e prima di tutto, è il vero patrimonio civico-culturale dell’Italia di oggi, indipendentemente da una specifica confessione religiosa.
La fede, qual che sia? Se si adegua, si accodi e sia la benvenuta. Ma non provi a marcare il territorio.
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Caro Direttore,
La Lega propone che, con una legge dello Stato, si renda obbligatorio il crocifisso in ogni più remota stanza dello spazio pubblico.
Una provocazione fra le altre? È possibile. Ma viene da un partito di governo, e l’idea ha un seguito che va molto oltre i suoi iscritti, basti leggere le reazioni sui social media. Se dunque è probabile che non vedrà la luce, il progetto rivela un sentire distorto e rischioso sulla laicità e sui valori, sui “princìpi su cui si fonda la nostra società”.
L’Italia non può più dirsi un Paese cattolico, ex lege e per i numeri. Di più, l’Italia è un Paese laico.
Laico vuol dire che, nel mantenere equidistanza da religioni e ideologie, lo Stato, in rappresentanza e a favore della società nel suo complesso, prende le sue decisioni in base a princìpi che prescindono dalla fede. Non è la fede, qualunque sia e qualsiasi cosa chieda, a orientarne le scelte, ma valori radicati nell’uomo e validi trasversalmente. Una selezione arbitraria, e legata ai tempi, che è tuttavia precisa, pensata, non superflua e uguale per tutti, misurata su conseguenze osservabili, infine orientata alla massima libertà possibile, e al massimo benessere possibile, in condizioni di convivenza fra pari.
La stessa idea di laicità trae da questa impostazione la sua ragione d’essere, diventando terreno fertile per l’espressione di sé in ogni direzione e secondo le più disparate normalità.
Se dunque è vero, sì, che l’Italia di oggi tragicamente manca di cultura e civiltà, per crearla e crescerla non serve appendere al muro un crocifisso – denso d’altri significati e solo una parte del passato, obiettivamente non sempre positiva – ma celebrarne i valori in cui crediamo – che vogliamo restino, e abbondino: libertà, pace e uguaglianza, giustizia, verità e opportunità. Questo, su tutto e prima di tutto, è il vero patrimonio civico-culturale dell’Italia di oggi, “indipendentemente da una specifica confessione religiosa”.
È d’accordo?