Accade che Luigi Tosti, magistrato senza stipendio e sotto processo dopo laica richiesta di togliere il crocifisso dalle aule giudiziarie, a luglio scriva una lettera a don Luigi Barbaglia, il quale lo aveva citato in una conferenza a proposito di crocifisso e annessi e connessi. Barbaglia, a sua volta, risponde.
E per la gioia di voi affezionati, finalmente 😛 entro in scena io: senza pretese di aver esaurito l’argomento (nelle cui artificiali sfaccettature mi addentrerò più volte), ecco quanto ho pensato di dire al don.
Gentile Barbaglia,
ero piuttosto contento di leggere toni equilibrati in risposta a quelli del Tosti, ma certi suoi argomenti, qualche sforzo retorico di troppo e il finale da vittima cristiana mi hanno invece fatto pensare più a quella tipica calma saccente che rende antipatici certi cattolici. Voglio pensare che non sia così nel suo caso, ma ci tengo a farle notare quelli che considero errori, nella speranza non di una sua catarsi ma che capisca e migliori (o magari replichi alla grande e capisca meglio io).
Non concordo sulla questione crocifisso: trovo che tantissimi cattolici – tra cui molti politici – sono apertamente discriminatori nei confronti delle altre religioni e in particolare poi degli atei. Appendere al muro sure e quant’altro è una questione fuori discussione perché per essi il cattolicesimo è superiore. Lo è anche per la sua gerarchia, che anche di recente si è espressa con precisione circa la superiorità del cattolicesimo.
Le è richiesto uno sforzo di obiettività: malgrado tante realtà particolari davvero rispettose, il cattolicesimo in Italia spesso è invandente, è spesso difeso a scapito di altri, e porre un crocifisso sui muri pubblici appare un privilegio di parte – e infatti le altre parti mancano del tutto! – un ‘marcare il territorio’ che in tanti oggi reclamano di tutti, non solo cristiano. Giustamente, a mio avviso.
Sempre per obiettività – coraggio – riguardi l’idea del crocifisso come cultura e non come religione: 1) è solo parte della cultura 2) oggi molti fanno a meno volentieri di buona parte della cultura cattolica, come retaggio e come modello odierno 3) che sia memoria del dono di una vita per l’umanità è una sua visione personale di credente, per tanti non cristiani al mondo non è stato un dono, nei fatti non è stato per l’umanità, e come simbolo lo è di 2000 anni non sempre ispirati, per così dire, e dunque non è così necessario un omaggio che non sia privato 4) appendere un simbolo di ‘cultura’ (incerto, come dicevo) dovrebbe essere un affronto per la sua stessa religione, svilita e minimizzata nel suo intimo messaggio.
Per curiosità, a quali documenti ufficiali si riferisce?
Non dev’essere facile, mi rendo conto, separare la sua particolare fede dalla cultura in generale e di tutti, veda lei. Mi chiedo anche però quanto lei sia veramente convinto in onestà che le due cose sono equivalenti, e le chiedo quindi: le andrebbe proprio bene se si studiasse la bibbia come “codice culturale”, quindi da un punto di vista laico, storico, etico, e criticamente fino ai suoi limiti? O ciò che veramente intende piuttosto è che si studiasse come al catechismo?
Epikeia – mi infastidisce sempre, ma non si lasci distrarre da questo, la pratica del fagocitare il meglio/l’utile da parte del cristianesimo, per poi chiamarlo ‘cristiano’. Così è stato per concetto di Epikeia, in uso presso i greci ben prima di Cristo, e patrimonio comune all’uomo. Dottrina cristiana sì, ma acquisita, diciamolo. Taciuta spesso, diciamo anche questo, dalla sua gerarchia e non a caso: è in aperta contraddizione, mi dica se sbaglio – con l’obbligo all’obbedienza, un obbligo dalle ben più palesi e profonde radici bibliche.
Scuse della Chiesa – mi spiace, ma le scuse fatte a Dio non contano un bel niente. Non per le vittime, non per un sano pentimento davanti agli uomini, né per un vero cambiamento.
Forma mentis – trovo un grosso limite del suo ragionamento l’affermare che valutare con i criteri del codice penale odierno l’esperienza ebraico-cristiana della Bibbia sia una indebita violenza ad essa. Peraltro lei stesso lo fa qualche paragrafo dopo, quando afferma che però dio è col più debole..
Di nuovo preferisco credere che la sua sia ingenuità e non ipocrisia, e le dico come la vedo: i codici penali di oggi codificano la nostra sensibilità e senso di giustizia di oggi. Questa sensibilità si può legittimamente usare per giudicare qualsiasi cosa che riguardi l’etica. Come la bibbia, appunto, un libro che dovrebbe esserne il fondamento. Ora, se oggi certi avvenimenti del passato e certe decisioni divine facessero orrore sarebbe più che giusto mi pare giudicarle in tal senso. Noti bene che lo stesso fate anche voi cristiani, nella misura in cui credete che dio è amore, è giustizia, e anzi sorgente stessa della morale. Inoltre giudicate pure la bibbia, che ritenete infallibilmente perfetta non solo a morale. Il problema dunque non è applicare la sensibilità di oggi a quel passato, ma è affermare che allora era diverso (e concordiamo) *eppure* abbracciare candidamente quelle atrocità e quegli errori come buoni e giusti, e credere ancora in quel dio che li ha compiuti.
È questa precisa idea di ‘giustizia’ e di ‘perfezione divina’ che va rivisto, secondo me.
Lei davvero crede che in ogni episodio biblico Dio “è sempre a difesa di chi non è difeso”? Lei giustifica l’episodio di Isacco, il diluvio, sodoma e gomorra, tanto per dire? E le tante altre stragi compiute dagli uomini su comando del loro dio (stando alla bibbia)? Ma davvero giustifica il suo dio come se non poteva fare altrimenti? Come se nessun innocente non ci abbia lasciato le penne? Come se la bibbia non fosse la descrizione del modello di società in voga ai tempi, un modello violento basato sul potere all’interno e la lotta all’esterno? Glielo chiedo sinceramente.
Sacrificio di Cristo – lei parla da esageta, e di letteratura immensa, certo, ma mi spiega che c’è tanto da scrivere? Un padre fa uccidere il figlio, un figlio si sottomente a questo atroce desiderio del padre, del sangue umano è versato in sacrificio come fra i popoli primitivi, per non risolvere un bel niente perché tutto è come prima.
Mi rendo conto che da credenti è difficile ammettere che sono cose terribili, che se oggi accadessero sarebbe un crimine folle, che se al tempo andava così (“contestualizziamo”!) oggi non è detto che ci debba piacere, che un dio aveva mille modi per risolvere diversamente, che non ha sacrificato sé stesso ma un altro (comodo ‘atto d’amore’!), che il sacrificio di 6 ore per poi risorgere è un sacrificio ridicolo, che far uccidere a degli uomini per salvarli dai loro peccati è puro controsenso, che questa richiesta di obbedienza da padre a figlio è esempio di rapporti distruttivi tipici della nostra peggiore civiltà, ecc.
Ma non risponda rimandando a tanti bei libri, per favore, mi dica come è possibile considerare tutto questo una cosa buona, tanto da adorarla, senza far leva sulla fede, su interpretazioni di comodo, su trucchetti retorici che poco hanno a che fare con la sostanza, o, appunto, sull’obbedienza.
Fino a quel momento, addebitare al suo dio azioni criminali non viene a uno “che non gliene frega niente”, niente affatto: è invece parte di un’alta riflessione su temi incredibilmente importanti, laddove vivere mantenendo grandi valori morali, ma senza questo tipo di dio e liberi da simili dannose dinamiche relazionali, si rivela una scelta non solo pienamente corretta, ma necessaria, per il bene di tutti e per un futuro positivo e consapevole.
Saluti.