Questo thread sul forum dell’Uaar aveva un tema interessante, a dimostrazione che anche un troll logorroico e saccente può essere d’aiuto alla comunità (poi non si è sognato di rispondere, ma che pretendere? In fondo è solo un troll, a volte pure simpatico). Cmq, per la cronaca ecco la mia posizione:
Brevemente: dopo aver rilevato che oggi scienza e teologia se ne stanno separate, e che entrambe hanno dei limiti (scientismo e finitezza l’una, letteralismo e pragmatismo l’altra), l’autore propone di ritrovarci sulla strada fra di esse e di ammettere che si completano bene nella ricerca della verità.
Questa tesi è frequente fra i cattolici, e primariamente per la chiesa che batte molto su di essa nel disperato intento di farci digerire le verità della sua fede con la scusa che sono razionali tanto quanto la scienza. A dir la verità, Gildo ci è andato anche piano, la gerarchia cattolica è ben più spudorata, ed è per questo che è bene se ne parli, che si chiarisca come e perché la scienza non può contare sulla fede e la fede non è un metodo di conoscenza affidabile.
Basterebbe notare come il Gildo confonda le parole “verità” e “Verità”, suggerendo che siano la stessa cosa e che quindi è “fecondo” cercarla insieme per mezzo tanto della fede come della ragione, quasi fossero intercambiabili. Eppure no, non sono la stessa cosa: la verità minuscola è quella della scienza, che, alla faccia dello scientismo, ammette i suoi limiti e accetta di cambiare. In questa luce, è ovvio che sia l’unica verità possibile, potenzialmente breve e fragile, ma presente e migliorabile.
Per contro, la fede parla di una immaginata Verità che non prova in alcun modo ma afferma per volontà di credere, la quale non basta se è vero che ogni fede vuole credere alla sua.
La fede in effetti cerca e si crea “un fondamento su cui ancorare la nostra esistenza”. La scienza non ha questo fine, né questa necessità.
La fede, mi si dica se sbaglio, non cerca la verità, ma conferme alla Verità creduta. La scienza fa l’opposto.
Affermo altrove [nel PA, ndm]: “Se ci fossero ragioni logiche, razionali, naturali sul tema, non solo non gli sarebbe più necessaria la fede, ma non si lo chiamerebbe più.. soprannaturale!
Diventa chiaro come la neve quindi, che le due sono quanto mai lontane: davanti a tanti misteri la ragione si fa prudente e indaga come può, la fede prosegue da sola di gran passo, la sorpassa e se ne va senza voltarsi, nemmeno a salutare.
È una questione di metodo! E un buon metodo, nella ricerca della verità, è importante come la verità stessa. Se anche la fede dicesse cose che la scienza conferma (e non è così), vi sarebbero arrivate per strade diverse, senza toccarsi. Ma il più delle volte questo non avviene, perché troppe sono le cose che ‘potrebbero essere’, e molte meno quelle che sono.”
È vero dunque: la scienza può purificare la religione dall’errore e dalla superstizione; la religione invece non può purificare la scienza dall’idolatria e dai falsi assoluti, sia perché la scienza seria non ne ha – e guai se se li desse – ma perché per i limiti intrinseci al metodo impiegato (la fede) non può che additare assoluti non provati dall’alto di.. altri assoluti non provati. L’idolatria e gli assoluti sono errori e superstizioni.
Per usare le parole di Gildo: “è proprio questo l’errore che continuamente commettete, considerare le realtà espresse dalla fede alla stregua di una qualsiasi disciplina scientifica”. Grazie Gildo.
Il “dialogo” richiesto allora – ovvero lo sforzo della conciliazione di opposti – certo è necessario alla teologia per “uscire dall’isolamento plurisecolare in cui è stata relegata”, ma non è di alcun vantaggio per la scienza, cioè per la ricerca della v‑erità, se riteniamo importante stare lontano da dogmi posti a priori da accogliere per semplice obbedienza (un problema non solo delle religioni, ma anche di scienza [scientismo], politica [ideologie], e vita di ogni giorno [rapporti di potere]).
Non basta affermare che la fede sia ragione – o “diversa intellettualità” – perché lo sia. Non basta circondarsi di ragione se non la si usa fino in fondo, se si mantiene un grosso e complesso nocciolo di credenze per fede.
È ovvio allora che non è una “bella gara a dimostrare chi ha ragione”, perché la risposta – senza dogmi – mi pare facile.
E no, l’argomento non è uno dei “massimi problemi”. Semmai il problema è come convivere: ammesso che abbiamo approcci opposti alla realtà, resta il dovere etico di trovare modi sani di convivenza, grazie ai quali non si neghi la libertà di credere o non credere, che non frenino la conoscenza né s’impongano sull’altro, qualsiasi sia l’autorità di riferimento.